Ti è mai capitato di sapere qualcosa a livello cognitivo, ma di non riuscire a sentirlo realmente a livello emotivo?
Proviamo a pensare ad un esempio.
Devi affrontare un esame universitario, ma in passato ti è capitato di essere stato bocciato. Ad oggi se ci ripensi ti batte ancora forte il cuore e vai in affanno. Questo ti crea disagio o addirittura ti impedisce di affrontarlo. Razionalmente sai che quel singolo esame non dice niente sulle tue capacità. Sai di essere preparato e che andrà tutto bene. Eppure, di fronte a tutti i nuovi esami, ecco di nuovo il battito che accelera e l’ansia che sale. Così ti blocchi.
Come mai succede questo?
Partiamo dal presupposto che la maggior parte dei sintomi psicologici dipende dalle esperienze traumatiche. Chiunque può portarsi dietro sintomi (nel nostro esempio, l’affanno e il battito cardiaco accelerato) che nascono da ferite che non si sono mai chiuse e che, anche se del passato, continuano a creare disagio.
Può trattarsi semplicemente di un esame fallito, di “piccoli” traumi che si sono verificati nell’infanzia a livello di attaccamento, da esperienze come lutti, malattie, conflitti coniugali o altri cambiamenti di vita significativi. Altre volte, invece, i sintomi possono avere avuto origine da “grandi” traumi come, per esempio, l’aver assistito a disastri naturali o incidenti.
Questi eventi fortemente stressanti possono (proprio per il loro impatto emotivo) non essere riprocessati dalla memoria. In questo caso rimangono racchiusi nella nostra mente con le immagini originali, i suoni, i pensieri, le emozioni, le sensazioni corporee, Diventano, così, poco accessibili e causano l’insorgenza di disagi emotivi, fisici, comportamentali e cognitivi (nel nostro esempio, impendendo di affrontare esami importanti nel percorso universitario).
Il trauma avvenuto causa, così, un’interruzione della normale elaborazione adattiva dell’informazione, la quale viene tenuta, “bloccandosi”, in modo disfunzionale in memoria.
È possibile accedere a questi ricordi bloccati?
Sì, ed è proprio il loro recupero che permette di stare meglio. Quello che crea sofferenza, infatti, non è tanto l’evento in sé, ma il ricordo associato all’evento.
In psicoterapia esiste una metodologia di lavoro che parla il linguaggio del trauma e che consente, così, di sbloccare quel ricordo. Si tratta dell’EMDR (acronimo di “Eye Movement Desensitization and Reprocessing”), un metodo di psicoterapia che facilita il trattamento dei sintomi e dei problemi legati ad eventi traumatici. Permette, così, di superare il disagio emotivo associato al trauma e modificare gli aspetti fisici, emotivi, comportamentali e cognitivi.
Come funziona l’EMDR?
La terapia EMDR consiste nella stimolazione bilaterale alternata (tramite movimenti oculari o tapping su mani o ginocchia) dei due emisferi cerebrali che presiedono alle funzioni cognitive (emisfero destro) ed emotive (emisfero sinistro). Ciò porta ad una rielaborazione dell’informazione legata al trauma.
I ricordi passati vengono desensibilizzati. In questo modo il paziente può accedervi più facilmente perchè la carica emotiva si abbassa. I ricordi si archiviano nel giusto spazio. Inoltre, il presente non avrà più interferenze da parte di qualcosa che è accaduto nel passato.
L’EMDR aiuta, quindi, a restituire il giusto significato e contesto ai ricordi: il passato.
Dopo l’EMDR sarà ancora possibile ricordare l’evento. Sarà “solo” cambiata la percezione che quell’evento appartenga veramente al passato. Il ricordo perderà, quindi, la sua carica emotiva negativa, così dolorosa e intollerabile.